Esce oggi 17 settembre questo piccolo grande gioiello di Ferruccio Sansa. Un libro che equivale a una dichiarazione d’amore per Genova, città dove il giornalista è cresciuto e che ci racconta con tutta la passione e la poesia di cui è capace. Un inno alla vita, a scoprire la natura, le piccole cose che ci fanno sentire l’appartenenza a un luogo e di cui spesso ci dimentichiamo dandole per scontate
di Valeria Cudini
Pochi autori riescono a creare sin dalle prime righe un sodalizio e un’empatia così forte con il lettore. Sansa, invece, ha questa capacità: ti prende per mano e ti porta a spasso con lui nelle vie di Genova e te la fa sentire la sua città, così forte e spiazzante come è per lui.
E l’operazione non era facile, perché l’autore non sviluppa un vero e proprio romanzo, non c’è una trama, non ci sono personaggi tranne un figlio all’inizio del romanzo che ha lo spazio di una sola battuta. Poi stop. Non ci sono più dialoghi. Ma c’è un “tu” a cui il narratore/autore si rivolge e a cui parla come se fosse un amico. Questo “tu” è sia un cittadino di Genova con cui condividere emozioni e riflessioni sulla città di appartenenza sia un lettore che non conosce ancora questa città ma la vede delineata con precisione davanti agli occhi. Ed è anche qualcosa di più: è un “tu” universale. E infatti a volte il “tu” vira e diventa un “noi” collettivo o un “voi” persone a cui si chiede di partecipare attivamente. Il paradosso è quindi che in Fatti di Genova pur non essendoci dei veri personaggi protagonisti di una storia, tutti noi che ci accostiamo a questa lettura ed entriamo dentro questa Genova diventiamo attori protagonisti.
Quante cose può essere una città e quante bellezze ci colgono ogni giorno eppure spesso ci dimentichiamo di accoglierle come un’epifania?
E quando il narratore si rivolge a noi o a un tu ci parla come se fosse sicuro che noi fossimo lì ad ascoltarlo, a condividere con lui pensieri ed emozioni per quella che è la sua città, gli appartiene – anzi no! – l’autore ci svela che chi “è di Genova” lo è perché è lui ad appartenere alla città e non il contrario.
Nel capitolo eponimo “Fatti di Genova”, infatti, il narratorie ci spiega il perché del titolo: “Noi siamo di Genova […] è la città che ci possiede”. Ci custodisce […] Noi siamo fatti di Genova”. “Fatti di Genova”, quindi, non sono solo i “fatti” che riguardano la città, bensì la materia di cui siamo fatti “noi” che abitiamo e viviamo Genova: noi siamo fatti di Genova. Un po’ come intendeva Shakespeare ne La tempesta: “Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Qui si va a definire un’identità che è fatta dall’appartenenza a una città che è luce, mare, vento, “creuse” (quelle di cui cantava e narrava De André), treni che passano, panni stesi, profumi, fiori.
Siamo di fronte a una narrazione in prosa che si fa poesia a ogni immagine, che ti entra dentro e ti scuote come i venti di cui Sansa ci spiega le differenti caratteristiche. Immagini così forti da assumere i toni di un’universalità e di una riflessione sui grandi temi della vita. Per esempio: dove nasce la felicità? “Chissà dove nasce la felicità. Se c’è un punto preciso nel corpo, distinto a seconda dell’origine. Troppo facile puntare il dito proprio lì, sullo sterno, quando tra mille sguardi ne incroci uno che cerca soltanto te. Ma è più difficile quando incroci per caso tuo figlio che cammina sullo stesso marciapiedi; forse il luogo della felicità allora è la pelle che pare sottile e trasparente come un foglio di carta”.
E sempre sulla felicità, c’è anche quella che ti arriva da immagini meno scontate: “Che dire poi del profumo uscito dalla porta aperta di un negozio, perfino dell’odore nero è marcio di un bus. E poi magari di uno sguardo che non è rivolto a te, ma ti si impiglia addosso”.
E poi c’è l’orgoglio dell’autore di narrarci di chi, come lo scrittore Aiman di Chiamami col tuo nome, ha scelto di ambientare il suo romanzo sulla riviera ligure perché “tutto è nato per caso a Nervi”. “Era una sera di primavera – chissà, forse il 1983 – correvamo sul treno lungo la costa, io e una ragazza bellissima. Dopo ogni galleria un golfo, un bagliore. Finché abbiamo visto una caletta, dei gozzi, quel nome sul cartello blu della stazione: Nervi. E siamo scesi di corsa. Senza pensarci. Ci siamo ritrovati sul terrazzo di un albergo, mezzi nudi, a goderci il tramonto”.
Genova è così, se non la conosci ti sorprende. Nervi, con quel sole accecante e quel blu che arriva a strapiombo e si impossessa della tua anima. Se non la conoscete dovete andarci e sentirvela sulla pelle.
L’autore paragona le peculiarità di Genova come il mare e il vento alla vita e al tempo e ci strugge con la bellezza delle sue immagini. Il nuoto diventa una metafora della vita: “Si nuota uno accanto all’altro, ci si incrocia, senza accorgersene. Somiglia tanto alla vita questo andare avanti e indietro senza una meta. Questo cercare di restare a galla almeno con un po’ di stile”. E ancora: “Somiglia troppo al tempo, stasera, il mare. E l’inganno è che noi si possa navigare o almeno galleggiare”.
Che significato ha il vento, si chiede l’autore per noi che siamo di Genova? “E deve voler dire qualcosa se, per tutti noi, l’elemento costitutivo della città non ha materia, è solo aria […]. Il vento che raccoglie odori – profumi, tanfi – e li unisce in un unico sapore. Come note sparse, raccolte in un’armonia”.
Penso che il libro di Sansa vada letto perché oltre a essere scritto benissimo, vi farà innamorare di Genova e riflettere sul senso della vita e sull’appartenenza. Toccherà corde profonde di voi e a tratti vi toglierà il fiato.
Descrivere un sentimento…. Parrebbe cosa impossibile, eppure sentite (non leggete, sentite!) qui: “Per questo sei venuto, per trovare la tua città. Per toccarla. Per poterla guardare senza che nessun altro ci si metta di mezzo. Perché l’amore richiede intimità, un momento che voi sapete, in cui sarete soli”.
E questo è solo uno dei molti esempi. Buona lettura!