Dopo il successo dell’anteprima al Torino Film Festival, arriva nelle sale, per soli due giorni, il 12 e 13 marzo, il film evento che ci porta alla scoperta dei tesori del museo di antichità egizie più vecchio al mondo e che accoglie, al suo interno, oltre 1 milione di visitatori all’anno. Nell’anno del suo bicentenario, il Museo Egizio approda per la prima volta al cinema e, attraverso la voce di un narratore d’eccezione, come il premio Oscar Jeremy Irons, apre le sue porte virtuali agli spettatori narrando storie dell’arrivo in museo di straordinari reperti che descrivono l’affascinante mistero del popolo egizio. Oggi il Museo Egizio di Torino è arrivato a custodire sino a 40mila reperti, di cui esposti 12mila su quattro piani del Museo.
Il film, diretto da Michele Mally con soggetto e sceneggiatura di Mattero Moneta, è prodotto da 3D Produzioni, Nexo Digital e Sky in collaborazione, appunto, con il Museo Egizio.
A completare il viaggio visivo è la colonna sonora originale composta e orchestrata dal pianista e compositore Remo Anzovino ed eseguita dall’autore con l’Orchestra Sinfonica Accademia Naonis diretta da Valter Sivilotti, in uscita su etichetta Nexo Digital e distribuzione Believe nel 2024.
Ricordiamo che la Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital. Nello specifico, per tutto il 2024, la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
Non perdete l’occasione di vedere al cinema un film che vi terrà incollati allo schermo con un rinnovarsi continuo di emozioni.
Sul sito di Nexo Digital tutte le sale cinematografiche nella vostra città dove potrete vederlo
di Valeria Cudini
L’Oltretomba è un luogo pericoloso. Un giorno ti troverai anche tu a doverlo attraversare e anche tu tremerai di paura come ora un uomo di nome Kha. Quella che lo aspetta è la prova più difficile. Il suo cuore verrà pesato di fronte al tribunale di Osiride. Poco importa se Kha ha amato molto. Il suo cuore un tempo batteva veloce come l’ala dell’ibis quando si alza sul Nilo per la giovane sposa Merit, morta troppo presto. Queste le parole pronunciate all’inizio del film da un Jeremy Irons in un’insolita e riuscitissima versione teatrale che parte dalla mimica facciale e dal suo incedere lento e cadenzato nel contesto funereo in cui è inserito. Vestito in un elegantissimo abito nero a firma Armani, il volto scavato su cui si posa la luce nel resto della penombra di una sala del Museo Egizio, Irons ci guida, come un moderno Virgilio, in un viaggio nell’Oltretomba dove alla parola morte assoceremo sempre quella di vita, amore e desiderio d’immortalità.
Il film, infatti, ci parla proprio di questo: di un popolo, quello degli Egizi, che ha vissuto perennemente in tensione tra l’amore per la vita terrena e, contemporaneamente, tensione verso la morte; amore in vita e desiderio d’immortalità.
Non è facile recensire un film così denso di significati, immagini bellissime e con una colonna sonora appositamente creata per mantenere la giusta tensione tra note vibranti e funeree e inno alla vita. Occorre quindi tentare di scomporlo e scegliere di privilegiare alcuni filoni, perché dentro questo docu-film c’è tantissimo materiale di studio, suggestioni per future ricerche e approfondimenti; storia, filosofia, domande da porci sulla nostra esistenza.
Tra le molteplici storie narrate nel film, che ci svelano aspetti incredibili sia della vita sia della concezione della morte degli Egizi, ce n’è sicuramente una che fa da fil rouge, ed è quella realmente esistita di una coppia d’innamorati, marito e moglie, che rispondono ai nomi di Kha e Merit. Kha, al tempo, che era un architetto, sovrintendente alla costruzione delle tombe dei faraoni e Merit, sua moglie, sono conservati a Torino assieme al celebre corredo funebre. La storia di tutto ciò che riguarda la tomba dei due coniugi e il relativo corredo funebre ha a che fare con la straordinaria scoperta dell’archeologo-egittologo Ernesto Schiapparelli. È il 15 febbraio del 1906 quando la fioca luce delle lampade a petrolio illumina, agli occhi sbalorditi di Schiapparelli, una porta di legno ormai chiusa da millenni che cela la tomba, intatta, dei due amanti. Quello che ne emerge ha dello straordinario: un intero corredo funebre composto da ben 467 oggetti da trasportare nel mondo dei morti per raccontare con devozione e tenerezza l’amore dei due coniugi. Solo per citare alcuni di questi oggetti: ci sono rimmel e fard di Merit, creme per la pelle; e, per esempio, il rasoio da barba di Kha. E ancora: le lenzuola di lino che appaiono come appena tessute; il cibo per il viaggio nell’Oltretomba ancora conservato incredibilmente come l’uva, il pesce, i latticini e il pane.
L’emozione e la commozione per queste storie così dense di umanità e di vita vissuta ci avvicinano a un popolo dalla doppia identità: da un lato modernissimo con le sue storie di lavoro, di scioperi, di poesie d’amore e quindi per questo a noi così vicino e, dall’altro, misterioso e legato ad antichi rituali che si perdono nelle pieghe della storia.
Il racconto di che cosa c’è dietro la ricerca archeologica, il lavoro di conservazione e restauro è affidato ai numerosi curatori del museo torinese e del suo direttore Christian Greco, insieme ai direttori del Louvre a Parigi, del British Museum a Londra, dell’Aegyptische Museum di Berlino e del Museo Egizio al Cairo.
Nella conferenza di presentazione del film all’anteprima di Milano, lo sceneggiatore Matteo Moneta predispone noi spettatori a un’interpretazione della civiltà egizia ben diversa da quella che è mediamente affidata alla divulgazione. Se, infatti, siamo soliti pensare agli Egizi come a un popolo le cui piramidi sarebbero state costruite da marziani e con una macabra cupezza legata alle mummie, attraverso la narrazione di che cosa c’è dietro tutto quanto è custodito nell’antichissimo Museo Egizio scopriamo, invece, una civiltà altissima e strutturata in modo articolato tanto quanto quella greca, ricca di un grande pensiero letterario e filosofico. Matteo Moneta dice di aver compreso come nella civiltà egizia gli opposti possano convivere in un tutt’uno: il significato della morte deriverebbe “dalla luce tenue del Nilo, da quei paesaggi struggenti, da quel tentativo di replicare il bello e la dolcezza del vivere”.
Due secoli fa, quando statue, colossi, sfingi e mummie umane complete dei loro corredi funebri giunsero a Torino, l’egittologo francese Jean François Champollion, si precipitò a leggere i papiri. Fu proprio lui, infatti, nel 1822 a decifrare la stele di Rosetta, svelando per primo la scrittura geroglifica. Ed è sempre merito suo se oggi sono leggibili i meno appariscenti, ma indubbiamente più preziosi, Papiro dei Re (con la lista di tutti i faraoni) e il Papiro delle Miniere (una delle carte geografiche più antiche dell’umanità).
Che sarebbe la beatitudine eterna senza le cose che hai amato nella vita? Recita Jeremy Irons. Quello che è noto come Il libro dei Morti in realtà, secondo quanto spiega il direttore del Museo Egizio, s’intitola Il libro per uscire nel giorno. Un’ulteriore conferma che la morte per gli Egizi era strettamente legata alla rinascita e alla vita precedente e futura.
E una copia del papiro l’aveva anche Kha dentro al sarcofago, preziosa indicazione per non commettere errori nel lungo viaggio verso il tribunale degli dei pronti a pesare il suo cuore (la coscienza) su una bilancia dove nell’altro piatto si trova una piuma.