Prodotto dalla tedesca Lupa Film, presentato in concorso al 71° Festival di Berlino e nominato all’Orso d’Oro; e in anteprima italiana all’Ischia Global Fest 2022, Fabian – Going to the Dogs uscirà nelle sale italiane domani 18 agosto distribuito da Pier Francesco Aiello per PFA Films e Pietro Peligra per RS Productions.
Il film del regista Dominik Graf è tratto dall’omonimo romanzo di Erich Kästner pubblicato nel 1931 e messo al rogo dalla Gestapo.
Qui la nostra recensione dopo la visione in anteprima per alpassocoitempi.com
di Valeria Cudini
Fabian – Going to the Dogs è un film complesso che merita un’attenta riflessione già a partire dal titolo. In pochi forse sanno, infatti, che cosa significhi l’espressione inglese “going to the dogs”. “Going to the dogs” significa “andare in malora” anche se può apparirci strano. Associare questa espressione al personaggio protagonista di Fabian (interpretato da un magnetico Tom Schilling) significa già avere fatto centro.
Senza volervi spoilerare troppo, infatti, il significato del titolo lega benissimo con l’evoluzione del personaggio di Fabian e la società del tempo che il regista e sceneggiatore Dominik Graf intende rappresentare. Occorre precisare, però, che il film non è una sceneggiatura originale ma un adattamento dell’omonimo romanzo di Erich Kästner pubblicato nel 1931 e messo al rogo dalla Gestapo (il libro ha dovuto attendere sino al 2012 per essere pubblicato nella sua interezza).
Graf riprende con precisione lo stile avveniristico del testo del 1931 che, a sua volta, era già ispirato dal cinema di cui, con originalità, applicava alla parola scritta i trucchi del montaggio.
Il risultato è infatti, da un punto di vista stilistico e di costruzione, un film realizzato con tecniche miste, con un montaggio assolutamente particolare e veloce in cui si passa da filmati d’epoca della Repubblica di Weimar in bianco e nero alle immagini del presente del film con movimenti di camera improvvisi (formato in 4:3). La resa scenica è rétro, l’effetto è originale, elegante, mosso e denso di dialoghi efficaci e mai banali.
La sinossi
Siamo a Berlino nel 1931. Jacob Fabian, il protagonista, lavora di giorno per il reparto pubblicitario di una fabbrica di sigarette. La notte, su cui soprattutto nella prima parte del film si indugia molto, Fabian vive una seconda vita impegnato a trascinarsi tra locali, bordelli e atelier di artisti in compagnia del suo amico storico, il danaroso Labude (interpretazione affidata a un magistrale Albrect Schuch).
A un certo punto incontrerà Cornelia (la bravissima Saskia Rosendahl), una bellissima ragazza che sembra essere molto determinata a sfondare nel mondo del cinema.
Fabian si innamorerà all’istante e per un po’ riuscirà a mettere da parte il nichilismo che ormai ha permeato tutta la sua esistenza.
Ma le cose non vanno come dovrebbero: Fabian perde il lavoro e Cornelia, ormai sempre più convinta di fare strada sul grande schermo, si allontana da lui per scendere a patti con il suo produttore che le promette un futuro di successo.
I temi del film
Coprotagonista del film è la città di Berlino che appare in tutte le sue contraddizioni generando inquietudine nello spettatore. La città si mostra algida, decadente ma dissoluta, apparentemente libera ma in realtà ingabbiata in se stessa eppur legittimata nella sua ferocia dai nazisti che la occupano.
Nel film di Graf passato e presente sembrano sovrapporsi: una guerra che non ha portato a nulla se non alla disoccupazione, alla povertà, alla violenza e all’impotenza che i giovani percepiscono nel non riuscire a opporsi a uno stato di cose che è già precostituito. Eppure molta di questa gioventù ha delle menti brillanti (vedi per esempio il personaggio di Labude) che non possono emergere per la stoltezza dei gestori del potere che spessissimo assegnano ruoli di prestigio a chi non lo merita.
È in questa drammatica cornice che si muovono i personaggi volti a mostrare temi forti come, appunto, il potere, la disponibilità di scendere a patti per conquistarlo, le regole del successo, la creatività e il coraggio di opporsi.
Da sottolineare l’importanza data alla sessualità che svela una società misogina e manipolatrice. Il sesso diventa emblema di potere, di liberazione dalle frustrazioni del quotidiano e qui ha sempre a che fare con qualcosa di ambiguo e di eccessivo come il frequentissimo ricorso ad alcol e droghe.
Il mio parere
Fabian Going to the Dogs è un film spigoloso e, soprattutto nella prima parte, piuttosto complesso da seguire per la sua costruzione davvero particolare e alcuni aspetti della vita del tempo piuttosto respingenti. Eppure, man mano che la storia va avanti, lo spettatore è sempre più coinvolto e attento senza sentire mai il peso della lunghezza del film (pochi minuti meno di tre ore).
Io l’ho trovato davvero bello e originale, con dialoghi serrati e sempre originali; personaggi perfettamente a fuoco; una bellissima fotografia affidata ad Hanno Lenzt; un uso sapiente della musica di Sven Rossenbach e Florian van Volxem con musiche composte ed eseguite per pianoforte da Richie Beirach.
Va ribadito che il montaggio è eseguito alla perfezione da Claudia Wolscht.
Un grande plauso al regista che, insieme a Constantin Lieb, è anche sceneggiatore. Non ho letto, ahimè, il romanzo da cui il film è tratto, ma credo di aver intuito che la trasposizione cinematografica non sottrae niente alla costruzione e alle atmosfere cupe del libro.
Da vedere!