È allarme siccità. Non solo da diversi mesi… dallo scorso anno ormai. La situazione sulla nostra Penisola si è particolarmente aggravata in questo ultimo periodo che ha fatto registrare temperature record seconde sole al fatidico 2003 e comunque con dei picchi che, nella media annua, hanno persino superato le temperature medie di quella primavera-autunno di caldo infernale.
Ma che cos’è la siccità? Lo sappiamo? Abbiamo scelto di affidarci alla definizione data dall’Osservatorio Siccità del CNR Istituto per la BioEconomia.
La siccità è “una caratteristica normale e ricorrente del clima e può verificarsi quindi in tutte le regioni climatiche; è legata al concetto di deficit idrico temporaneo.
Gli impatti della siccità possono variare in base alle sue caratteristiche e alla richiesta idrica per i diversi usi.
Redmond (2002), infatti, definisce la siccità come una ‘condizione d’insufficienza idrica per soddisfare i bisogni’. La siccità differisce concettualmente dall’aridità essendo quest’ultima una caratteristica permanente del clima che quindi si verifica in quelle aree in cui c’è un deficit idrico permanente dovuto alla scarsità di pioggia ed elevata evapotraspirazione”.
Secondo quanto riferiscono i dati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dall’Autorità Distrettuale del fiume Po, attualmente la siccità sta colpendo tutta l’Italia con una concentrazione maggiore nel Nord dove si registrano picchi di siccità severo-estrema (72%) in Friuli-Venezia Giulia e in Lombardia (65%).
Inoltre, quest’anno è il terzo anno in assoluto per scarsità di accumuli nevosi sull’intero arco alpino (-70% rispetto allo scorso anno). I maggiori laghi alpini versano in una situazione altrettanto critica: per esempio, l’afflusso idrico che riempie il Lago di Garda è al 50,1% rispetto alla media degli ultimi 5 anni, al 31% per il Lago Maggiore, al 23,2% per il Lago d’Iseo e Lago d’Idro e al 4,5% per il Lago di Como.
Per quanto riguarda i fiumi, il Po ha la portata più bassa degli ultimi 70 anni. In particolare l’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche riferisce che “la portata del Po è vicina alla drammatica soglia psicologica dei 100 metri cubi al secondo al rilevamento ferrarese di Pontelagoscuro, che ne decreterebbe la fine dell’immagine di ‘grande fiume’ con tutte le conseguenze soprattutto di carattere ambientale, che ne stanno derivando”. Nello specifico, desta grande preoccupazione la situazione del delta del Po le cui acque stanno diventando salate. Il cuneo salino, ovvero il movimento di acqua salata dal mare verso l’entroterra, è risalito a 30, 6 chilometri. Il rischio è che vengano contaminate le falde acquifere destinate a uso potabile. Intanto già in diverse zone agricole c’è stata un’interruzione della fornitura d’acqua per l’irrigazione. L’acqua, ormai salata, rischia di “bruciare” le colture.
Per far chiarezza su quanto sta accadendo e per individuare soluzioni di lunga durata abbiamo intervistato l’esperta Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio siccità del CNR
di Valeria Cudini
L’INTERVISTA A RAMONA MAGNO*
Che cosa sta succedendo al clima?
Da diversi anni è chiaro, anche in base a studi ed esperti di tutto il mondo, che il clima sta subendo delle modifiche. Le temperature stanno aumentando e anche in passato ci sono state epoche in cui centinaia di migliaia di anni fa le temperature addirittura erano più alte di quelle che stiamo vivendo ora; però la differenza è che questi aumenti di temperatura avvenivano in tempi molto più lunghi. La cosa che invece contraddistingue quest’epoca è la velocità con cui stanno avvenendo questi cambiamenti.
L’escalation molto più rapida delle temperature è da attribuirsi sia a cicli naturali ma soprattutto l’accelerazione è dovuta all’azione antropica, quindi all’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, ad opera dell’uomo sia per uso di combustibili fossili sia per il cambio di uso del suolo (deforestazione, urbanizzazione). In conseguenza di questi cambiamenti anche eventi estremi come ondate di calore e siccità, ma anche l’opposto, quindi piogge molto forti, uragani in altre zone del pianeta, stanno aumentando in numero, intensità, durata.
Tra l’altro il bacino del Mediterraneo e l’Italia vengono indicati come un “hot spot” di questo cambiamento.
Qual è la situazione attuale della siccità in Italia?
La siccità che stiamo vivendo ora è particolarmente intensa rispetto ad altre che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ogni tre-quattro anni, però in questo caso è particolare perché si sono sommati più fattori: scarsità di pioggia da oltre un anno, temperature elevate – e non solo a maggio e giugno – con record che sono stati secondi solo al fatidico 2003 – ma anche in inverno. Soprattutto nel Nord-ovest abbiamo avuto temperature elevate e un’annata scarsamente nevosa. È caduto il 50% in meno di neve rispetto all’anno scorso e questo ha fatto sì che ad aprile, maggio e giugno quando questa neve si dovrebbe sciogliere e andare a fornire acqua ai fiumi e ai laghi è stata pochissima.
Questi fenomeni sono da attribuirsi a livello locale alla presenza di un anticiclone che ha sostato sul nostro Paese per diversi mesi, ovvero un blocco di alta pressione che ha impedito l’arrivo delle perturbazioni come dovrebbe avvenire di solito in autunno e inverno. Ci sono state delle perturbazioni ma sono state poche oppure si sono spostate più a nord delle Alpi e quindi non sono riuscite ad arrivare dove serviva.
Questo fenomeno è dovuto anche al fatto che stiamo vivendo per il secondo anno consecutivo il fenomeno della Ninja che è praticamente l’opposto del Ninjo. Nel Pacifico, nella fascia equatoriale gli strati superficiali dell’oceano sono più freddi del normale (fenomeno indicato come la Ninja) e questo influisce non solo sulla circolazione atmosferica delle terre limitrofe al Pacifico, ma su tutta la circolazione atmosferica globale e anche sulle precipitazioni in Europa.
Le ultime previsioni della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) aggiornate a metà luglio ci dicono che nel prossimo trimestre ci sarà un leggero indebolimento della ninja che però riprenderà forza alla fine dell’autunno e in inverno. Entro la fine dell’anno potrebbe, con un 60-70% di possibilità, essere molto forte e quindi potrebbe esserci nuovamente un autunno poco piovoso. Anche tutti i centri europei di previsione stagionale sono concordi nel dire che agosto, settembre e ottobre non solo saranno molto probabilmente poco piovosi, ma continueranno anche a esserci temperature superiori alla media. Le ondate di calore man mano che si andrà avanti con i mesi non saranno così intense ma le temperature saranno più alte della media stagionale.
In relazione a quanto ha detto che cosa succederà? L’acqua finirà? Come possiamo fare per conservarla, per non sprecarla noi persone comuni “non addette ai lavori” sia con gesti virtuosi sia nel nostro quotidiano?
Adesso che siamo già in emergenza noi dobbiamo cercare di ridurre il più possibile gli sprechi, ovvero cercare di usare il meno possibile acqua come si sta già facendo in diversi comuni con delle ordinanze. Viene chiesto ai cittadini di non andare a lavare la macchina o di non usare l’acqua per innaffiare i giardini, riutilizzare quanto più possibile l’acqua che si usa in casa e di non tenere i rubinetti aperti.
Sta diminuendo l’acqua a disposizione dei fiumi e dei laghi ma anche quella del sottosuolo, le riserve sotterranee. Mi viene in mente una cosa che è stata fatta in Sudafrica quando c’è stata la gravissima siccità nel 2018. È stato indicato un famoso giorno zero, ovvero il giorno per cui le autorità sarebbero state costrette a chiudere l’erogazione dell’acqua nelle abitazioni e quindi si sarebbe dovuti andare a fare le file per prendere l’acqua con le taniche. Questa soluzione, ovvero questo famoso appello al cittadino in cui si dovrebbe dire che si potrebbe arrivare a un momento simile, ha fatto scattare qualcosa nelle persone che hanno dovuto utilizzare meno acqua per diversi mesi e alla fine, anche quando l’emergenza era passata, la gente si era un po’ abituata a questi tipi di accorgimenti e ha continuato anche dopo a consumare meno acqua.
Quello che dobbiamo capire è che l’acqua non è infinita e quindi quella che abbiamo dobbiamo preservarla, non sprecandola, non inquinandola e cercando di riciclarla quanto più possibile e cercando di abituarsi a questi tipi di gesti non solo quando c’è siccità ma anche quando piove, perché, anche quando piove, l’acqua che sprechiamo dopo non ci sarà quando non pioverà.
Bisogna far capire che se aspettiamo che l’acqua non ci sia proprio nei fiumi e nei laghi sarà veramente troppo tardi.
La situazione dei nostri fiumi e dei nostri laghi è già drammatica…
Sì, la situazione oggi dei laghi e dei fiumi del nord è da mesi critica. Il Po ha il problema dell’intrusione del mare all’interno del fiume che è arrivata a 40 chilometri. È chiaro che se l’acqua del mare entra nel fiume chi gestisce la distribuzione dell’acqua nel fiume e nei canali è stato costretto anche a chiudere perché altrimenti i contadini avrebbero cominciato a usare acqua salata nociva per le piante e le colture. Questa situazione si sta verificando anche nel centro e nel sud d’Italia: abbiamo i laghi di Bracciano, il lago Trasimeno a livelli abbastanza bassi così come diversi fiumi e anche i bacini artificiali del sud cominciano a diminuire di livello.
È sufficiente saper gestire in maniera consapevole l’acqua che abbiamo a disposizione o i cosiddetti “addetti ai lavori” possono fare di più?
Noi possiamo cominciare a fare qualcosa anche dal basso però ovviamente non è sufficiente. Bisogna comunque anche a livello locale, regionale e poi nazionale capire che innanzitutto serve cambiare modo di pensare perché non si può agire sempre e solo quando ormai la crisi c’è, ma bisogna intervenire prima. Come azione preventiva si può cercare di ridurre le perdite della rete idrica che ha 50-60 anni e quindi ha delle perdite tra il 35 e il 40% a seconda delle zone e cercare di riparare queste perdite, modernizzarle, mettere a sistema con la nuova tecnologia ovvero mettere dei sensori che indicano dove ci sono delle perdite. Un’altra soluzione in campo agricolo e industriale potrebbe essere aumentare l’utilizzo delle acque reflue cioè le acque che derivano dalle case (dagli sciacquoni o dai rubinetti) depurandole potendo riutilizzarle per l’irrigazione ma anche per le varie industrie.
È chiaro però che dovremo adattarci perché se questi fenomeni saranno sempre più frequenti e sempre più intensi dovremmo cominciare anche a pensare a come gestire l’agricoltura magari utilizzare delle colture più resistenti alla siccità e al caldo; ottimizzare l’irrigazione utilizzando dei sistemi che distribuiscano l’acqua solo dove serve e questo si può fare con la cosiddetta agricoltura di precisione che sfrutta anche le immagini satellitari. Oggi siamo in grado di individuare in un campo quali sono le parti dove ci sono piante che hanno più bisogno d’acqua e altre meno e quindi andare ad agire solo lì dove serve, non in maniera omogenea e indiscriminata.
Quindi utilizzare queste nuove tecnologie grazie all’avanzamento della ricerca e cercare anche di far sì che i contadini cambino mentalità. C’è quello più evoluto digitalmente che coglie queste opportunità, ma molti contadini sono legati alle vecchie tradizioni e modalità di coltivare. Quindi bisogna anche sensibilizzare da un punto di vista culturale.
Ci vuole la volontà di fare un cambiamento e capire che anche se questi investimenti all’inizio sembrano più costosi, se poi si mette a confronto quello che investiamo per cercare di migliorare a lungo termine la situazione e i soldi che si utilizzano quando c’è l’emergenza, ci si rende conto che conviene sempre intervenire a lungo termine, con lungimiranza.
Stiamo facendo bene secondo lei? Ovvero: ci sono i presupposti per questo cambiamento di modo di vedere, di come non sprecare l’acqua e di come avere un progetto a lungo termine per migliorare la situazione?
I mezzi tecnologici, le conoscenze ma anche dal punto di vista legislativo gli strumenti li abbiamo tutti. La cosa fondamentale è la volontà di farlo anche scavalcando quelli che sono problemi momentanei o gli interessi di pochi. Bisogna davvero cominciare a pensare a largo spettro.
Anche il fatto che sia caduto il governo in un momento del genere la dice lunga. Si pensa sempre al proprio o da qui alla mia scadenza della legislatura, ma investire in queste soluzioni vuol dire pensare anche a qualcosa che io vedrò finita quando non ci sarò più, ma non me ne dovrebbe importare.
Cosa possiamo trasmettere alle future generazioni come impostazione di un nuovo stile di vita, di comportamento più virtuoso?
Ci sono diversi progetti che sono stati fatti in diverse regioni. Sicuramente la sensibilizzazione a scuola sull’importanza dell’acqua. A livello di giovani e di scuole forse si potrebbe introdurre nelle varie materie in maniera un po’ più massiccia questa parte qui.
L’educazione al risparmio idrico la possiamo applicare al risparmio in tutte le cose che utilizziamo e a tutte le cose che buttiamo via non perché sono esaurite ma semplicemente perché passano di moda. Quindi un’educazione civica ed ecologica veramente più forte.
Bisogna però sensibilizzare anche quelli della nostra età o comunque persone di 40-50-60 anni.
Forse è più facile educare le nuove generazioni che hanno una mente più aperta piuttosto che far cambiare mentalità a chi come noi ha già una forma mentis strutturata e probabilmente fatica di più a cambiare comportamento.
A scuola, per esempio, oltre a parlarne bisognerebbe far toccare con mano il problema. Per esempio ipotizzando che per una settimana tutti i rubinetti dei bagni vengano chiusi di modo che i ragazzi capiscano veramente che cosa vuol dire non avere acqua. Finché non lo vivono sulla loro pelle non riescono a capire che anche loro possono influenzare questi cambiamenti.
L’acqua non è una risorsa infinita, quantomeno quella che intendiamo noi, quella che usiamo nei vari settori, cioè dalla casa all’agricoltura all’industria. A noi serve l’acqua dolce e quella prima che diminuisca per i cambiamenti climatici o perché è inquinata non è infinita.
RAMONA MAGNO*
Laureata in Scienze Forestali. Ricercatrice presso l’Istituto per la BioEconomia del CNR, responsabile dell’Osservatorio Siccità dell’IBE-CNR. Si occupa di desertificazione e monitoraggio della siccità e suoi impatti sulle attività antropiche e l’ambiente.