Dopo le eccellenti prove dei due romanzi precedenti La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani) e Un giorno verrà (Bompiani 2019, Premio Fiesole Under 40), a metà gennaio è uscito il terzo romanzo della giovane scrittrice Giulia Caminito L’acqua del lago non è mai dolce. Caminito lavora in ambito editoriale ed è specializzata sia in narrativa italiana contemporanea sia in narrativa per ragazzi. A dicembre 2018, infatti, è uscito il suo primo libro per bambini La ballerina e il marinaio (Orecchio acerbo) con le illustrazioni di Maja Celija.
Qui Giusi D’Urso ci mette a parte delle sue riflessioni sul suo ultimo romanzo L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani Editore)
di Giusi D’Urso
Il lago non è come il mare
Mentre rifletto su questo romanzo letto qualche settimana fa penso soprattutto alla sua ricchezza e lo immagino come un cesto capiente, intrecciato a mano con materie prime differenti. Nel libro di Giulia Caminito, infatti, ci sono molte cose. Una famiglia in difficoltà, guidata da una madre fiera e battagliera; il lago di Bracciano, la cittadina di Anguillara, adolescenti inquieti, bulli e ragazze in boccio, oggetti desiderati, sogni grandi, piccoli, infranti; amicizia e amori ruvidi ed esplosivi.
Una storia costruita intorno alla protagonista Gaia
Tutte le cose di questo romanzo fanno da coreografia, cangiante e dinamica all’adolescenza di Gaia, protagonista e voce narrante, che in prima persona racconta la sua storia e la sua famiglia. La madre, Antonia, è determinata e tenace, piena di spigoli e ruvidità; il padre disabile, ridotto a una vita in carrozzina a causa di un incidente su un cantiere nel quale lavorava a nero. Mariano, fratello maggiore molto amato che a un tratto si allontana dal nucleo familiare; e due fratelli minori, gemelli, molto legati alla madre.
Al di là della storia portante, raccontata al presente, con frequenti richiami al passato, ci sono altre storie, altri racconti che delineano, anzi scolpiscono, il personaggio principale e l’ambiente in cui tutto si svolge.
Gaia è come il lago: non ha un sapore dolce
Gaia vive la sua adolescenza nell’opprimente consapevolezza della sua insignificanza. Non ha progetti, non ha amici veri, se non una, Iris, che poi perde. Si vergogna della madre e della sua cocciutaggine, della casa in cui vive, della mancanza di tutte quelle cose che, pure se non strettamente necessarie, diventano nell’immaginario di un’adolescente condizione imprescindibile per sentirsi degna, accolta e apprezzata dai suoi pari.
Gaia è un po’ come il lago del paese in cui vive: fondali limacciosi, sapore di petrolio, profili di oggetti che si intravedono appena dalla superficie dell’acqua. Anche lei non ha un sapore dolce così come l’acqua del lago. Sembra limpida nella sua veste di ragazza studiosa e con la voglia di emanciparsi, ma nel suo profondo si agita un fondale denso che a tratti gorgoglia rigurgitando una ferocia inimmaginabile.
Dalla sua insignificanza Gaia estrae il succo aspro di una personalità aggressiva e violenta che la porta su territori rischiosi in cui sente finalmente di valere qualcosa. È una dimensione in cui assume un potere che la ripaga di ogni mancanza, ogni atto di bullismo subito, ogni momento di tenerezza e comprensione mancato. Il potere di cambiare qualcosa, di un agire che, al contrario di quello materno, progettato e maturato, ha come segni particolari l’eccesso, l’irruenza, il rischio.
Il lato oscuro di Gaia e la sua percezione di essere fuori posto
C’è in Gaia un lato buio dell’anima, un’ombra che si allunga dalla costante percezione di sé come oggetto fuori posto, troppo grande o troppo piccolo, eccessivamente colorato oppure completamente sbiadito. Le sue azioni violente, la rabbia che deflagra improvvisa, l’odio verso le sofferenze e le fragilità degli altri suonano come remunerazione per tutto il suo non vissuto e per la sua quotidianità defraudata da cose e sentimenti. Nell’angolo buio dell’anima, Gaia mette a posto le cose e ruba una giustizia che nessun altro sembra volerle concedere.
Il simbolismo della Caminito è un “mondo nel mondo”
La materia con cui l’autrice ha intrecciato il cesto comprende numerose immagini e presenze simboliche. Come la fontana con i pesci che sgusciano via, il fantomatico presepe sul fondo del lago, il lago stesso che non è salato come il mare ma neanche dolce, l’orso rosa vinto al tirassegno, l’istinto della mira, il pettegolezzo della gente di paese, “mosche sugli avanzi”, la casa che “è dove le cose cadono a terra”. È un mondo nel mondo, che vive grazie alla magnifica scrittura di Giulia Caminito, un altro “personaggio” che si impone al lettore sin dall’incipit, la voce che incalza a ogni pagina e prende forma dai luoghi e dalle due anime della protagonista, mostrandoceli senza sconti.
Un linguaggio acrobatico: sempre teso e in equilibrio
È un linguaggio acrobatico, quello della Caminito, capace di mostrare ferocia, claustrofobia, inadeguatezza senza mai perdere tensione ed equilibrio. È fatto di parole come pietre dure incastonate in materia cangiante, ora solida ora fluida, esattamente come la forza che nasce dalle ferite, la volontà che cresce dall’umiliazione.
A me questo romanzo è piaciuto moltissimo per tante cose, alcune delle quali ho provato a raccontare. Credo e spero che ne sentiremo parlare ancora e ancora, per molto tempo.