Dal 26 novembre in libreria Il sogno di Rodrigo di Stefano Merenda, un romanzo dai toni vivaci ma anche dai risvolti a tratti noir, thriller e splatter. Il tutto condito da una bella dose d’ironia e una prosa davvero godibile
Di Valeria Cudini
Mi sono avvicinata a questo romanzo incuriosita dalla presentazione, purtroppo quest’anno nell’edizione online, fatta a BookCity da Mauro Morellini che ha dialogato con l’autore Stefano Merenda. Durante l’intervista è stato citato un libro che in passato ho amato moltissimo: Doppio sogno di Arthur Schnitzler, un piccolo grande capolavoro della letteratura tedesca. Il parallelismo con il tema del sogno e una trama che sviluppi una riflessione su quanto i sogni possano dirci della nostra vita, ha sempre suscitato in me curiosità. Motivo per cui ho subito chiesto all’ufficio stampa di Morellini se fosse possibile leggere il romanzo di Merenda in anteprima. È chiaro che i temi trattati sono ben diversi da quelli di Schnitzler, ma la dimensione del sogno, così importante per conoscere parti di noi che il nostro inconscio custodisce, è davvero ben rappresentata e cattura sin da subito l’attenzione del lettore.
La storia è piuttosto esilarante e lo si percepisce immediatamente.
Il protagonista, Rodrigo, è vittima di una sorta di fuoco incrociato della moglie, che mal sopporta, e del suo capoufficio, che lo vessa in continuazione.
Della moglie Luisa, Rodrigo odia la sua “R” moscia e l’assoluta passione per la montagna – unica possibile meta di ogni vacanza -, onnipresente in angolo o mobilio della casa e nelle pietanze portate in tavola. Del capoufficio e dei suoi colleghi non sopporta i continui scherzi, le prese in giro e le umiliazioni a cui è ripetutamente sottoposto senza riuscire a reagire.
Ne esce fuori il ritratto di un uomo fragile, senza spina dorsale, la raffigurazione di quello che potremmo, senza tema di smentita, definire un perdente.
Ma per fortuna ci sono i sogni e, come nelle favole, si sa, “i sogni son desideri”. E i desideri di Rodrigo vengono non solo ascoltati, ma anche pienamente realizzati ben oltre le sue aspettative.
Dove accade tutto questo? Nei sogni, o forse sarebbe meglio dire in un unico lunghissimo sogno che ogni volta riprende esattamente dal punto in cui viene lasciato.
A dare l’avvio a questo sogno così particolare è un trauma cranico che subisce Rodrigo.
Nel sogno Rodrigo vive una vera e propria vita parallela. Ha delle sensazioni fortissime come se tutto quello che gli accade fosse davvero reale. E l’aspetto divertente di questo sogno è che al suo interno Rodrigo è tutto ciò che non è nella sua vita reale e che, probabilmente, ha sempre desiderato essere ma che non ha mai avuto il coraggio di ammettere neanche a se stesso. È un uomo single, ricco, sicuro di sé, pieno di donne, di bellissime macchine, di un aereo privato con il quale può esaudire tutti i suoi desideri di visitare mete incredibili.
Capendo di trovarsi a vivere in una realtà parallela, Rodrigo sceglie di approfittarne per fare tutto quanto non avrebbe mai né avuto il coraggio e/o la possibilità di fare nella vita reale: sport estremi, corse folli in macchina, seduzione di donne bellissime.
Rodrigo arriva persino a uccidere un uomo ed è allora che la storia vira verso il dark e lo splatter e inizia a seminare nella mente del lettore una serie di indizi che potrebbero portarlo a immaginare direzioni diverse della storia.
Che cosa accadrà? Quanto il sogno interferirà con la vita reale?
Il romanzo di Stefano Merenda, al di là della godibilità della storia e della prosa, invita, a mio avviso, a compiere una sorta di bilancio su come stia procedendo la nostra vita, su quello che potremmo fare per migliorarla non rinunciando ai nostri sogni ma prendendo tutto il coraggio e la forza necessaria per provare a realizzarli.
Un messaggio semplice ma vero, una di quelle cose a cui si pensa solo a volte, ma che preferiamo mettere da parte presi come siamo dalle nostre abitudini.
L’invito, invece, è ad avere coraggio e a saper osare.
Stay Hungry, Stay Foolish (Non smettete mai di essere affamati, non smettete mai di essere folli, ribelli) diceva Steve Jobs.
Quanto aveva ragione!