Qualche riflessione su “Il nome della madre” di Roberto Camurri (NN Editore)

È uscito a fine maggio il secondo romanzo di Roberto Camurri Il nome della madre. Ho avuto il piacere di leggerlo tutto d’un fiato prima di conoscere l’autore alla Libreria Colibrì di Milano dove lo ha presentato guidato dalle domande di Camilla Ronzullo (@zeldawasawriter). Sono successe tante cose da allora e mi è servito del tempo per rielaborare la bellezza di quell’incontro venuto subito dopo una lettura a cui ancora oggi penso

di Valeria Cudini

È da molto che volevo scrivere qualcosa su Roberto Camurri e sul suo splendido secondo romanzo Il nome della madre (NN Editore, pp. 176, 17 euro, uscito in libreria il 28 maggio scorso). Questo pensiero si è fatto ancor più forte dopo aver partecipato all’incontro che si è svolto il 28 settembre allo spazio all’aperto della libreria Il Colibrì di Milano, animato da @zeldawasawriter, ovvero Camilla Ronzullo, che ha intervistato Camurri proponendo la sua lettura creativa del romanzo.

Chiedo venia per non averlo fatto subito e non vi rubo tempo per raccontarvi quante cose sono accadute e sono andate a intrecciarsi in questa quarantina di giorni trascorsi da quella fresca serata di settembre in cui ho avuto il piacere di sentire raccontare proprio dalla voce di Camurri il suo romanzo. Un libro che ho letto d’un fiato in un solo giorno non appena ho saputo in corsa che si era liberato un posto per partecipare alla presentazione.

Ce l’ho fatta, eccomi qua, con un po’ di stordimento in testa ripensando alla bellezza di quella serata avvenuta subito dopo aver terminato con ingordigia un libro tanto bello. Uno stordimento che oggi si mescola a una sensazione nostalgica e alla “giusta” dose di tristezza se penso che, ancora una volta, e per chissà quanto tempo, non potremo vederci di persona per dare un volto e ascoltare la vera voce degli scrittori che abbiamo amato e che amiamo.

Ecco così che custodisco gelosamente quel momento che è passato ma non senza lasciare traccia.

La storia di un’assenza, quella della madre

Il nome della madre è un romanzo costruito sull’assenza e non su un’assenza qualsiasi. Qui a mancare è una figura fondamentale del nucleo famigliare: la madre.

A essersene andata è la mamma del piccolo Pietro rimasto a vivere con il padre Ettore in un piccolo paesino dell’Emilia, Fabbrico, borgo natio e luogo del cuore dell’autore. Nel ricordo della moglie Ettore alterna sentimenti contrastanti in costante bilico tra tenerezza e ferocia. Un vuoto che necessita di essere riempito. Sì, ma come? Gli sforzi di Ettore per dimenticarla si vanificano ogni qualvolta guarda suo figlio, che le assomiglia così tanto.

Un vuoto che dal padre eredita il figlio

Il vuoto di Ettore è il vuoto che crescendo erediterà Pietro. Man mano che il ragazzo si fa adulto cerca un segno, una traccia, un ricordo, qualcosa che gli permetta di capire almeno un po’ chi fosse sua madre.

Il rapporto padre-figlio non serve a compensare né per il figlio l’assenza di una madre né per il padre l’assenza di una moglie. Anzi, se possibile, una ferita originaria così profonda ne genera altre. Pietro e suo padre si allontaneranno sempre più, al punto che Pietro inizierà a staccarsi dalla realtà e a vedere il fantasma di sua madre che inseguirà senza paura. Gli occorrerà tutta la vita per liberarsi – e forse non del tutto – da quella madre che nell’essere stata sempre assente è stata, paradossalmente, una presenza fissa.

Alla libreria Colibrì Camurri ci ha raccontato il perché della sua scelta

Camurri stesso ci ha raccontato che se nel libro precedente A misura d’uomo “tutte le figure femminili erano figure femminili che restavano, qui ho deciso di fare il contrario: volevo metterci i rapporti famigliari. E l’unico modo che ho trovato che avesse più un senso per descrivere la madre è stato quello di mandarla via e che associato a lei non ci fosse neanche come nome. Questo mi dava la chiave per interpretare l’affanno di questo figlio che deve fare i conti con un padre che soffre della stessa assenza e che vorrebbe provare a instaurare un rapporto con lui”.

Per quanto riguarda la complessità delle relazioni che si instaurano su ferite aperte, va citato il rapporto sfilacciato tra Pietro e Miriam, una sorta di elastico a volte tesissimo altre molle a riavvicinare i due.

Tutto in bilico e in contraddizione tranne Fabbrico

Tutto è in bilico, in tensione, in contraddizione, in mutamento. Tutto tranne Fabbrico, che rimane uguale a se stessa nell’aspetto e nell’“animo”, come se dovesse essere sempre punto di partenza e di arrivo da cui non si sfugge. Un destino inesorabile, come quello che segnerà per sempre la vita di Pietro e quella di Ettore.

Un viaggio nella complessità dei rapporti famigliari così carichi di incongruenze

Camurri ci stringe la mano e ci porta dentro il suo mondo – anche se noi lettori potremmo provare una certa sofferenza nel farlo – dove le relazioni interpersonali sono mosse da sbagli, contraddizioni, sentimenti inespressi o troppo dannatamente manifesti.

Uno stile musicale, una scrittura visiva ed evocativa

Lo stile narrativo ha un ritmo musicale, con pause ritmiche quasi a riprodurre un rumore di passi e di azioni. Consiglio, perciò, una lettura ad alta voce per apprezzare a pieno ogni più piccola sfumatura sia linguistica sia di narrazione della storia.

La scrittura è asciutta, efficace, pulita da tutti gli inutili orpelli. È essenziale, diretta, chirurgica eppure al contempo potente e, come dicevo, musicale.

È una scrittura che evoca, fatta spesso di elenchi di immagini. Una scrittura visionaria che ricorre più volte all’uso del discorso indiretto libero.

Il nome della madre è un romanzo forte che ti trascina con sé, da bersi in un sorso sperando non faccia troppo male perché vi resterà dentro, questo è certo.

Post Author: Valeria Cudini

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